E' quasi pleonastica una presentazione per un sociologo di fama mondiale come Manuel Castells. Di origine spagnola, egli ha ricoperto e tuttora ricopre incarichi di grande prestigio in Università francesi e statunitensi. Alcune sue opere sono da tempo considerate pietre miliari della sociologia contemporanea tanto che, per esempio, l'autorevole Direttore della London School of Economics, Anthony Giddens, si è spinto a paragonare il suo lavoro ad uno dei padri della moderna sociologia, Max Weber.
Verso la fine degli anni novanta, Castells ha portato a termine una corposa opera, la cui pubblicazione è stata divisa in tre volumi. Il primo, che qui si presenta, si occupa di definire ciò che per l'Autore è la Rete. Il secondo, già pubblicato negli Stati Uniti e non ancora in Italia, Il potere dell'identità, “analizza la struttura dell'io e l'interazione tra la Rete e l'io nella crisi delle due istituzioni centrali della società: la famiglia patriarcale e lo Stato-Nazione”. Il terzo volume, parimenti ancora non pubblicato nel nostro Paese e molto atteso nell'edizione italiana, Nuovo millennio, propone un'interpretazione delle trasformazioni storiche alla fine del ventesimo secolo.
Come vedremo, le estese riflessioni di Castells, riportate in un'opera ponderosa ed enciclopedica, che cadono nel bel mezzo della new information age, appaiono di straordinario interesse per approfondire in forma analitica una delle possibili interpretazioni circa la struttura dei processi di trasformazione sociale che stanno effettivamente cambiando il nostro modo di vivere. Al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, come non di rado accade, i mass media sono stati piuttosto interessati alle sue intuizioni quasi profetiche (in realtà logiche deduzioni dei suoi studi) sullo sviluppo del movimento no global o sulla rinnovata minaccia dei gruppi fondamentalisti, con un'operazione semplificatoria ma tutto sommato significativa di quanto il lavoro dell'Autore sia giunto vicino a cogliere le dinamiche reali del passaggio epocale che stiamo vivendo, dalla vecchia era industriale a quella definita dallo stesso Castells informazionale, caratterizzata dall'avvento dei computers e delle Reti.
In realtà, quale studioso delle innovazioni scientifiche e tecnologiche, Castells si trova fatalmente ad attraversare un percorso lastricato di luoghi comuni, che solo il metodo scientifico può superare. Si tratta, tanto per cominciare, di abbandonare le vecchie e fondamentalmente banali contrapposizioni tra i profeti della tecnologia (techies) e i fautori di un vecchio umanesimo (humies), per comprendere che non ha senso contrapporre il vecchio al nuovo (come se su una lavagna si potesse scrivere, per riassumere il dibattito, what the Internet can do / what the Internet cannot do, come fece l'Economist qualche anno fa e come ci ricorda nella prefazione Guido Martinotti), bensì semplicemente è necessario esplorare cosa si aggiunge, in termini di tecnologia, alle opportunità della vita, contesto nel quale le nuove generazioni sono immerse come in una realtà che a loro appartiene a tutto tondo, in modo niente affatto virtuale.
Il punto di partenza, insomma, non può che essere lo studio analitico delle innovazioni tecnologiche per capire la strumentazione del cambiamento, per poi muovere nella direzione di inserire il cambiamento tecnologico all'interno dell'organizzazione sociale e del lavoro, e studiarne gli effetti.
D'altro canto, non va trascurato un aspetto certamente essenziale: la minuziosa descrizione dei progressi tecnologici, dal microprocessore al wireless, sottintende una cultura in mutamento, che è proprio la cultura dell'organizzazione sociale intorno a Reti, quella, insomma, che interessa a Castells nella misura in cui sta cambiando il lavoro, l'impresa, la famiglia, le comunità, i mass media, lo Stato e così via. Per arrivare a definire questa nuova cultura occorre analizzare come il fatto tecnologico abbia modificato i paradigmi comunicativi, ormai interattivi, creato nuove imprese, che ruotano su una metarete di flussi finanziari, trasformato la figura del lavoratore, nel contesto di nuovi rapporti di un'economia che, come abbiamo riferito, Castells stesso definisce informazionale.
Le reti costituiscono, è la conclusione “la nuova morfologia sociale e ... la diffusione della logica di rete modifica in modo sostanziale l'operare e i risultati dei processi di produzione, esperienza, potere e cultura”. Ciò che appare in definitiva è un nuovo sistema sociale a reti globali di capitale, management e informazione, in cui produttività e competitività dipendono dall'accesso al know how tecnologico.
Lo scenario è quello di un sistema sociale altamente dinamico e aperto all'innovazione in cui, contrariamente a quanto potrebbe pensarsi, il lavoro abbonderà più che in qualunque periodo della storia “la diffusione delle tecnologie dell'informazione, pur causando l'obsolescenza di mansioni e l'eliminazione di posti di lavoro non ha indotto, né sembra lo farà nel futuro prossimo, disoccupazione di massa ... le classi lavoratrici si espandono su scala mondiale”. Naturalmente sopravvivono molte domande che riguardano la natura e la qualità dell'esperienza umana in questo macrocosmo che si sta affacciando. Sarà interessante leggere il prosieguo del lavoro di Castells, non appena sarà disponibile, per conoscere le sue risposte.
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